MENZIONE SPECIALE DELLA GIURIA 2013

Intervista ad Anna Carusi

di Rosa Manauzzi

Anna Carusi vive e lavora a Roma. Ha studiato acquerello con Bob Dickerson, (Brighton College of Art UK), e pittura ad olio e disegno della figura umana con Joan McLaren (Washington University of Art, U.S.A.), insegnante d’arte e pittrice professionista proveniente dall’action-painting
Il movimento è al centro della sua pittura, una pittura sensuale che anche nella sua forma più astratta rivela una profonda immersione e partecipazione alla vita.
Dal 1990 ha partecipato a numerose mostre in Italia e all’estero, ottenendo importanti riconoscimenti. Nel gennaio 2016 le viene assegnato il Premio “Artista dell’Anno 2015”, dal Comitato Artistico dell’EA Editore (Palermo). Una sua opera è stata esposta al Teatro Politeama di Palermo in occasione dell’evento “Panorama d’Italia” in cui è intervenuto il prof. Vittorio Sgarbi. Commenti critici sul suo operato artistico appaiono nel volume Eccellenze, (EA Editore, Palermo 2015) a cura di Paolo Levi.

Hai un background di formazione internazionale, britannico per l’esattezza. Come mai questa scelta?

Direi anglosassone più che britannico. Questa scelta è stata dettata dall’approccio pragmatico di tale cultura, approccio a me congeniale. L’artista è chiamato a misurarsi direttamente con il fare piuttosto che con apprendimenti teorici e tecnici.
Nel disegno della figura umana ad esempio, non si comincia con lo studio anatomico o con il calco di un piede o di una mano, ma ci si misura direttamente con la modella nella sua totalità, approfondendo semmai in un secondo momento le singole parti del corpo.

Esponi dal 1990. La prima mostra si intitolava “Italy from our point of view”, presso la FAO, a Roma. Cosa ricordi di questa prima esperienza pubblica e quanto è stata importante per indirizzare il tuo percorso futuro?

La ricordo come fosse ieri per l’emozione e il divertimento che ho provato.
Esponevo insieme a Lena Hildemann, un’artista finlandese che nel suo soggiorno in Italia dove si trovava perché il marito lavorava alla FAO, stava scoprendo il colore.
Le sue opere erano focalizzate sulla forma e sul design, le mie sul colore della natura mediterranea. La mostra segnò un’esperienza di scambio e di pittura comune che culminò successivamente in un quadro dipinto a quattro mani, “Moby Dick”, dove Lena dipinse la balena bianca e io Capitan Achab.
Avevamo suddiviso la tela lungo l’asse diagonale e non fu semplice armonizzarsi lungo il punto di congiunzione. Mi è sempre piaciuto andare a dipingere con altri artisti per confrontare poi i diversi punti di vista.

Della tua pittura non è importante la figurazione quanto piuttosto il movimento e il colore. Il colore diventa oggetto della tua esplorazione ma anche spiegazione cromatica dei tuoi paesaggi naturali e umani. D’altra parte il movimento decide di calare il tempo nelle azioni, mettendole in contatto con un prima e un dopo immaginario, senza necessariamente fissarle. Il quadro diviene così opera compiuta, per quanto riguarda l’espressione con cui hai voluto connotare una sensazione, tuttavia non è chiusa in se stessa e lascia a chi la osserva la libertà di continuare la sequenza.

Sì, quando dipingo la prima cosa che mi viene naturale è cogliere il movimento generale di quello che mi accingo a fare. Seguo però la direzione e l’energia del movimento piuttosto che la sequenza temporale. Molte persone osservando i miei quadri riferiscono di sentirsi catturate dall’andamento generale del movimento e di seguirlo.

Macchia Mediterranea

Quali artista o correnti hanno influenzato la tua carriera?

L’espressionismo tedesco e l’espressionismo astratto americano degli ultimi decenni del secolo scorso. Molti mi dicono però che nella mia pittura è evidente l’influenza di Cézanne.
Mi hanno anche molto influenzato i viaggi, soprattutto quelli in India.
Nell’arte indiana colore e movimento regnano sovrani e io ne ho subito indubbiamente l’influenza.

Qualcuno, osservando la mancanza di figura e la presenza di trasfigurazione nei tuoi quadri ti ha collocato nel neo-espressionismo. Eppure i tuoi colori non sembrano cambiare la connotazione della realtà, e questa non ha lati tragici o foschi da nascondere, come può essere tipico del neo-espressionismo.
Sembra che partecipino ad una poesia interiore della realtà che altrimenti rimarrebbe misteriosa. Il colore trae all’esterno la linfa dagli elementi del paesaggio o dei personaggi portando fuori un’anima spesso comune a diverse zone geografiche. In breve la tua arte trova un equilibrio cromatico che è anche pacificazione nella trasfigurazione. La tranquillità che contraddistingue le tue opere è il risultato di una meditazione attiva, rappresenta l’equilibrio ricercato (e trovato) tra il visibile e l’invisibile, tra il furore del movimento e dell’energia. Quanto c’è di spirituale in questa ricerca?

Non mi ritrovo nell’affermazione che le scene ritratte siano piene di pace, direi piuttosto di energia e a volte di inquietudine, come ad esempio i quadri che rappresentano la corsa dei tori, e la serie più recente sulle esplosioni vulcaniche.
Non c’è una corrispondenza diretta tra colori che uso e realtà circostante. I colori hanno una loro indipendente vibrazione e acquistano forza e vivacità nei loro reciproci rapporti. Ho spesso dipinto tele anche grandi con due soli colori. Se si vuole usare la parola spiritualità della mia ricerca, e ho qualche esitazione a farlo, la si può forse rintracciare nel bisogno costante di andare oltre il visibile, per entrare in contatto con una realtà che non si vede.

Olio su carta e olio su tela sono gli strumenti che privilegi, insieme agli acquerelli. A un certo punto hai sperimentato l’olio su alluminio, un materiale che apparentemente non consente di assorbire l’esperienza del colore. Eppure la resa del tuo quadro, “Mercato”, ha conquistato la giuria del premio COMEL nel 2013 e per questo sei stata tra i 13 artisti europei selezionati per la mostra “L’espressività dell’alluminio”. Quale sfida hai dovuto affrontare con il nuovo materiale e perché hai scelto il mercato come soggetto?

L’amore per il colore e per le qualità tattili trova nella mia pittura un completamento naturale in un amore per le qualità fisiche dei materiali coloristici, della superficie della carta, della tela, del legno, e, come ho scoperto nella pittura su alluminio, del metallo. I colori si comportano in maniera differente secondo la superficie su cui si applicano e questo fa parte dell’emozione della mia ricerca artistica. Nel caso del premio COMEL del 2013 la sfida che ho dovuto affrontare è stata quella di vedere come reagivano i colori ad olio sulla superficie metallica dell’alluminio e come entrava in questa esplorazione la superficie stessa del metallo, dato che il tema era la specifica espressività dell’alluminio.
Il tema del Mercato non è nuovo nella mia pittura, come si può vedere dall’olio su tela “Mercato tribale”. Ambedue i quadri sono stati ispirati dai mercati orientali particolarmente vibranti per colori, odori e rumori.

Kutch, Festival Rabari

Nei tuoi quadri si intravede una qualità sinestetica; dai colori che ritraggono le terre del Mediterraneo e il mare si percepiscono gli odori riconoscibili di una natura che è paesaggio comune, allargato, non esclusività di un luogo. Il colore riesce a giocare continuamente con un dettaglio evocato, non ben definito. Può essere un frutto, un fiore… O una pianta che potrebbe divenire frutto o fiore perché la natura in fondo è trasformazione continua. Inoltre si sente il vociare dei mercati, il fruscio delle vesti, la corsa dei tori. La percezione dell’artista chiama la partecipazione dei sensi dell’osservatore. È una specie di comunicazione sensoriale tra chi crea e chi osserva l’opera creata?

Assolutamente sì. La mia è una pittura sensuale in piena immersione con la realtà circostante e, dalle tue parole, mi rendo conto che questo viene colto dall’osservatore.

I raccoglitori di tè, i villaggi rabari, la campagna irlandese, le mura romane… Cos’è un artista senza il viaggio?

Per alcuni di noi è così. E così è stato per alcuni grandi pittori come ad esempio Matisse o Klee. Ma ci sono anche grandissimi pittori, come ad esempio Morandi, che hanno concentrato l’intero mondo della loro esperienza percettiva ed artistica in semplici oggetti di uso comune e nei loro reciproci rapporti.

C’è un’opera che desideri realizzare? O una mostra (collettiva o personale) a cui vorresti partecipare? O materiali che ti piacerebbe sperimentare?

I miei desideri esplorativi sono sempre maggiori di quelli che realisticamente posso realizzare. Vorrei fare una personale sul mio viaggio in India dove sono stata tre volte. E vorrei continuare la sperimentazione su alluminio che mi ha dato già tanto.

Il bosco dei violini

Questo lato poetico dei tuoi lavori che viene spesso sottolineato non mette affatto in ombra una attenta ricerca formale, una continua sperimentazione dei materiali (dalla ceramica al legno, dai metalli all’argilla, dal cemento alla carta), una precisa progettazione dei lavori. Il tuo processo creativo segue un iter particolare o cambia di volta in volta in base all’ispirazione o al materiale usato? Come nascono e si sviluppano le tue idee?

Il processo creativo non segue un iter particolare, a seconda del momento, del materiale, del sentire, l’opera inizia a prendere forma e capita spesso che ciò che sto realizzando mi porti nuove idee, spesso anche gli “errori” si trasformano in nuovi inizi, ciò che era sbagliato in un lavoro diventa un prezioso spunto per un altro.

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