PREMIO COMEL VANNA MIGLIORIN 2023

Intervista a Francesca Maroni

di Ilaria Ferri

Nasce il 19 ottobre del 1994 a Cittiglio (VA). Frequenta il liceo Classico E. Cairoli, si diploma poi all’Accademia del Teatro alla Scala nel 2015 come truccatrice teatrale. Si iscrive, in seguito, all’Accademia delle Belle Arti di Brera, dove si laurea sia nel triennio di Decorazione sia nel biennio specialistico di Scultura con 110 e lode. Vive e lavora e Varese, la sua ricerca artistica verte e s’interroga sul significato profondo dell’abitare.

L’opera “Sicut in caelo, et in terra”, finalista della X edizione del Premio COMEL dal titolo “The Aluminium Experience” risponde perfettamente al tema parlando della tua esperienza di vita attraverso l’arte. Legami forti che vengono sanciti, oltre che dai sentimenti, anche dall’arte, dalla tecnica (si tratta di una fusione a staffa) che dalla tecnologia moderna (si parla della geolocalizzazione di luoghi e mappe per raggiungere ciascuno di essi). Come è nata l’idea di realizzare questo lavoro?

Il lavoro “Sicut in caelo, et in terra” prende le mosse da uno studio del territorio che avevo realizzato in precedenza con Autocad durante il periodo di lockdown. Volevo rendere con un’immagine delle sensazioni provate, sentivo che vicino a me c’erano luoghi abitati da persone amiche che potevano accogliermi e farmi sentire a casa, questi, uniti tra loro, formano una rete e se immaginiamo di guardarli dall’alto appaiono come una costellazione.

Il concetto dell’opera, che è stata concepita in una dimensione digitale, è stato poi reso una scultura materica.

Costellazione abitata, tavole realizzate con autocad

L’opera è caratterizzata da linee che uniscono le semisfere (ovvero luoghi conosciuti e amati) e da una superficie specchiante che moltiplica i legami e include anche l’osservatore. C’è una forte propensione verso l’altro, l’arte per te è qualcosa che avvicina e unisce?

La propensione verso l’altro è qualcosa d’imprescindibile nella mia vita e storia personale. Penso che l’arte sia un mezzo fondamentale per avvicinare, unire, aprirsi all’altro e può dare la possibilità di creare scambi e interazioni.

Affermi che la tua “ricerca artistica verte e si interroga sul significato profondo dell’abitare”. Sembrerebbe un concetto tipico del lavoro di un architetto o di un designer, ma tu l’applichi all’arte, in che modo? A quali conclusioni ti hanno portato finora le tue ricerche?

L’interesse verso il significato profondo dell’abitare nasce dalla mia sensibilità all’ambiente che ci circonda e da come esso influenza le persone che ho intorno. Il tema dell’abitare e della casa e il tentativo di sviscerarne il significato, sono, infatti, centrali nella mia ricerca artistica. La ricerca parte da ricordi della mia infanzia evocati da una serie di disegni di quando ero bambina, ritrovati fra vecchi quaderni. Coloravo il bordo del foglio in modo compulsivo avendo cura che nemmeno un pezzetto restasse senza colore; una volta finito di riempirlo dicevo che quella era una casa. Ma di cosa è pieno il vuoto, quello lasciato bianco, all’interno del bordo? Forse che la casa è protezione ma allo stesso tempo anche luogo che costringe e intrappola? L’abitare è connotato da forti relazioni affettive ed è legato all’idea di possesso di mura che segnano uno spazio che possiamo calpestare e utilizzare a piacimento. Ma cosa possediamo realmente? Cosa permette a una struttura muraria di diventare casa-dimora? Il mero possesso di un luogo fisico non è una risposta sufficiente rispetto al significato dell’abitare.

Casa, disegno d’infanzia

Nel concept di “Sicut in caelo, et in terra”, spieghi che le semisfere che emergono dalla fusione indicano la posizione di abitazioni di persone amiche e della tua stessa casa, affermi che sono “luoghi che per me rappresentano sicurezza e accoglienza”. Quindi per te le abitazioni sono sinonimo di cura e riparo?

Vorrei che le abitazioni fossero sempre sinonimo di cura e riparo ma non sempre è così. La casa potrebbe essere anche sinonimo di limite, “gabbia” o luogo in cui ci sentiamo costretti, ma da cui in qualche modo dipendiamo.

Nel parlare del tuo percorso citi spesso i ricordi d’infanzia e le emozioni legati a essi, come se fossero stati una spinta a intraprendere un certo cammino. Sei sempre stata certa di quel che avresti fatto? O è stato un processo di cui ti sei resa conto a posteriori?

Non ne sono sempre stata certa, ho impiegato molto tempo prima di riuscire a prendere la decisione di percorrere questa strada. Le memorie e le emozioni sono state, e sono, costante supporto nel mio processo creativo.

Nella realizzazione delle tue opere utilizzi vari materiali: stoffa, cera, paraffina, rete metallica, e sei molto affascinata dai materiali fragili e trasparenti. Come ti sei trovata a lavorare l’alluminio? L’hai utilizzato per la prima volta per realizzare “Sicut in caelo, et in terra”, o è un metallo che utilizzi spesso?

È stata la prima volta che mi confrontavo con l’alluminio, l’ho utilizzato per provare a realizzare delle fusioni ed è stata una piacevole scoperta, penso che sia un materiale interessante per le sue qualità specifiche, leggero ma allo stesso tempo resistente e lucente. La lucentezza e il suo essere “argentato” mi hanno particolarmente colpita e ho pensato potessero essere caratteristiche adatte alla scultura che volevo realizzare.

La table servie

Ti sei diplomata anche all’Accademia del Teatro alla Scala come truccatrice teatrale. Il teatro è un altro luogo abitato da tante vite, tanti personaggi e tante situazioni, come nasce questa passione?

La passione per il teatro nasce dal fatto che ho sempre pensato al teatro come a un microcosmo, abitato da tante vite, che collaborano tra loro e diventano necessarie per farlo vivere.

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