PREMIO COMEL VANNA MIGLIORIN

Intervista a Anastasia Moro

di Dafne Crocella

Anastasia Moro vive e lavora come docente a Borgo Veneto (PD). Diplomata presso l’Accademia di Belle Arti di Venezia, consegue un Master in Partnership e Sciamanesimo all’Università di Udine. Approfondisce antiche tecniche artistiche. Espone in numerose personali e collettive in Italia, Spagna, Francia e Germania, partecipa a progetti artistici internazionali. Affronta temi sociali, ambientali e legati all’esistenza. Non lascia al caso l’uso del materiale e dedica a esso un attento studio preparatorio fatto di sperimentazioni e di ricerche, muovendosi dalla pittura all’installazione, dalla fotografia al video.

La tua opera Sacre Connessioni è stata scelta tra le 13 finaliste della X edizione del Premio Comel. Un’edizione dedicata al tema dell’esperienza. Come senti che questo tuo lavoro sia attinente al tema dell’esperienza. Cosa simboleggia per te quest’intreccio?

Esperienza: bellissima parola! L’esperienza presuppone lo sperimentare per conoscere, ed è quello che costantemente faccio nel mio lavoro. Conoscere il materiale mi apre mondi e concetti di cui voglio raccontare. Grazie a Premio Comel ho fatto esperienza dell’alluminio, entrato ormai a far parte di un nuovo ciclo di ricerca artistica. Sacre Connessioni è un’opera realizzata riciclando due lastre di alluminio per stampa tipografica, tagliate e intrecciate manualmente tra loro. L’intreccio rappresenta l’intersecarsi di relazioni, di saperi, di esperienze appunto.

Dal tuo lavoro emerge un interesse per la sinergia tra gli esseri umani e le loro storie. Il tutto creato su lastre tipografiche. A cosa è legata la scelta di questo supporto?

Come matrici queste lastre, utilizzate per stampare libri e riviste, imprigionano in sé parole, lettere, disegni, il Sapere in ogni sua forma, e una volta svolta la loro funzione vengono ripulite per poi essere matrici di altri libri o pagine. E’ bello pensare che queste matrici siano esse stesse composte da saggezza intessuta, ma allo stesso tempo generano (come il nome stesso, matrice ci suggerisce) saggezza. L’intreccio che costituisce l’opera rappresenta la forza della dimensione spirituale, sia del materiale, lucido, riflettente e per questo riferito al Sacro, sia del Sapere, riflessivo, curioso che si crea solo con l’ordito della relazioni. Alle estremità le fasce di alluminio si allentano creando forme con lo spazio circostante, tentando quasi la smaterializzazione. In questo caso le lastre di alluminio diventano metafora di memoria di conoscenza impressa nella stessa materia. La cesellatura centrale intervallata è un omaggio ai grandi artigiani del Sacro nelle varie civiltà fino ai nostri giorni, mani sapienti e custodi di segreti alchemici.

Sacre relazioni, 2023 – Stampa su carta fotografica, carta specchiante

Da questo intreccio è nato un tuo nuovo progetto: Sacre Relazioni. Puoi raccontarcelo?

Sacre Relazioni è un progetto fotografico nato nel 2023 con l’idea di dare vita ad un’opera che vada a sottolineare quanto di sacro e di importante ci sia nelle relazioni, siano esse sentimentali, intellettuali, parentali, artistiche e soprattutto con se stessi, attraverso la fusione di due ritratti, prima fotografati durante uno shooting e, in seguito la stampa, ritagliati e intrecciati tra loro manualmente, individuando un ordito che si apre alla trama tessendo un nuovo volto. I soggetti ritratti si uniscono in un’unica opera diventando un nuovo organismo vivente. E’ un progetto performativo e in divenire, nel quale diventa importante il rapporto tra artista e le persone che vengono fotografate e plasmate, diventando attori dell’opera. Il risultato è una sovrapposizione di volti intrecciati, che anche qui va smaterializzandosi e ricostruendosi in nuove forme e nuove soluzioni. Nei vari intrecci vengono poi inseriti anche sottili strisce specchianti che rimandano alla relazione con lo spettatore che guarderà l’opera.

Il progetto Sacre Relazioni è il primo con cui utilizzi una forma d’arte partecipativa. Che tipo di risposte stai ottenendo? Senti che l’arte riesca a raggiungere meglio le persone quando queste sono chiamate ad interagire nel processo creativo?

L’idea di questo progetto girava nella mia mente da qualche tempo e il momento giusto per metterlo in pratica arrivò durante una mia mostra personale. Pensavo se dopo il covid fossero cambiate in meglio davvero le relazioni tra le persone. La risposta l’ho cercata proprio nelle persone facendo rispondere loro a questa domanda: “Quale tua relazione consideri Sacra?”. All’inizio molti volti perplessi mi guardavano confusi, ma poi in modo del tutto spontaneo e un po’ intimiditi si sono fatti avanti. Gli amici sono stati i primi a concedersi e poi di seguito il pubblico delle mie mostre, naturalmente tramite una liberatoria firmata. E’ una sorta di mappa relazionale ed è un progetto che sta continuando parallelamente ad altri lavori che sto portando avanti. Ho avuto e ho ancora una bella risposta dalle persone che affidano a me e alla mia macchina fotografica qualcosa di importante perché me ne prenda cura. L’arte in questa forma partecipativa entra più facilmente e direttamente nelle relazioni, nella vita, toccando le emozioni, facendo riflettere, arrivando dentro noi stessi.

Sacre Connessioni e Sacre Relazioni. Il tema della sacralità ritorna nel tuo lavoro. Cos’è il Sacro per te?

Sacro viene inteso come atto di cura, protezione, preservazione riguardo alla relazione che si fa quasi rituale. Innanzitutto il sacro sta nel riconoscere da parte dei soggetti fotografati qualcosa a cui volgere lo sguardo sotto una nuova luce, qualcosa che avevano già, ma ora più potente, qualcosa che sta in una dimensione inviolabile. In secondo luogo ma non meno importante, io stessa mi sento come colei che riceve un dono da queste persone, consegnando a me le loro relazioni fidandosi della nuova conformazione che darò. Il senso di sacro lo si può trovare anche nel rimando di sguardi con lo spettatore che si specchia nell’opera finale attraverso strisce specchianti.

Black Souls, 2019 – resina, carta, filo di nylon

La tua formazione nasce nel figurativo per spingersi poi verso l’informale. Un informale che comunque non abbandona l’immagine che continua ad apparire come forma primordiale, quasi una sorta di cellula, o di embrione, o di larva… una sorta di forma della vita in potenza. Puoi raccontarci di questa tua relazione con la forma e la sua evoluzione?

La mia ricerca si concentra sull’ arcaico rapporto uomo-natura attraverso gli infiniti mondi possibili che la natura offre: forme organiche e naturali, foglie, radici, corpi, forme biomorfiche che vengono trasformate, intrecciate, mutuate attraverso il processo creativo, in sostanze simboliche spirituali. Indago la forma della vita attraverso pittura, scultura, disegni, fotografia e video. Sento molto forte l’ esigenza di affrontare temi sociali, ambientali e legati all’ esistenza, ma anche la necessità di relazionarmi con la natura dalla quale siamo tutti sempre troppo distanti.

I progetti legati alla forma della cellula sono in parte contenuti in libri d’artista. Perché hai sentito l’esigenza di legarti all’immagine del libro per raccoglierli? Che valore ha quest’oggetto nel tuo lavoro?

Il libro d’artista mi permette di raccogliere queste presenze proteiformi, suggerendo uno studio dettagliato di una stessa forma come una catalogazione scientifica del molteplice nelle sue forme ancestrali. In queste opere il piccolo, la luce, la sensualità statica e mutevole delle resine, nelle diverse declinazioni di forme e colori, sono percezione dell’esistenza che comporta la nostra stessa presenza. Inoltre la forma stessa del libro mi dà la sensazione di sicurezza. Adoro circondarmi di libri. E’ come se lì dentro ci siano tutte le soluzioni ai nostri quesiti.

Utilizzi svariati materiali in una ricerca materica che ti porta ad una fitta produzione. Come scegli i materiali da utilizzare? E che valore hanno da un punto di vista concettuale all’interno del tuo lavoro?

Non lascio al caso l’uso del materiale e dedico ad esso un attento studio iniziale e preparatorio fatto di sperimentazioni e di ricerche. Per me, la scelta del materiale è una libera necessità meditata, legata all’ espressione e al linguaggio dell’ opera: spesso il materiale racconta e ha una sua poesia, un suo sapore. Ho sperimentato molto la resina con il suo aspetto sottile ed elegante, perché mi dà la possibilità di tradurre l’idea di un corpo fisico in qualcosa di fluido e trascendente. Le resine nere presentano forme magmatiche che sembrano conservare tracce antiche di microrganismi. La stessa poetica ritorna con mezzi variati nel ciclo di opere Geo-Grafie, realizzate con cenere e grafite, mappature di ombre di chiome d’alberi sul terreno rilevate sulla tela, codici primordiali “scavati” e individuati nella materia. La cenere ricca di sali minerali rappresenta la continuità della vita tra quella terrena e quella spirituale. Anche il filo è un elemento importante nella mia ricerca, unisce, ha a che fare con il femminile meditativo e aggiusta, costruendo. Lo specchio è un altro materiale a cui ho dedicato molto tempo e un’opera legata alla fiaba.

Geo-Grafie, 2017 – cenere, acrilico e grafite su tela

Tra i diversi materiali stai sperimentando l’alluminio. Come è iniziato il lavoro con questo medium? E quali caratteristiche di questo metallo trovi congeniali per il tuo lavoro?

Il lavoro con l’alluminio è iniziato per caso. Recandomi in una tipografia di mia conoscenza per vedere il risultato di un mio catalogo, mi sono accorta delle lastre di alluminio e ho chiesto se potessero darmene qualcuna. Mi interessavano quelle usate per il fatto che secondo me erano impregnate di memoria, un po’ come lo specchio. Dell’alluminio mi piace la sensazione di morbidezza nonostante il suo essere metallo. E’ come se si nascondesse dietro una corazza ma poi, appena capisce le intenzioni dell’artista, si lascia plasmare e si affida alle sue mani, collaborando.

Hai degli artisti del passato ai quali sei particolarmente affezionata e che senti che hanno influenzato il tuo lavoro?

Ci sono degli artisti che amo profondamente e che hanno linguaggi diversi. Il primo è sicuramente Anish Kapoor a cui ho dedicato la mia tesi all’Accademia di Belle Arti di Venezia. Di lui mi affascina il saper raccontare il vuoto. Adoro Maria Lai con i suoi libri illeggibili che intessano storie andando alle proprie radici. Mi piace il lavoro del grande maestro della video arte Bill Viola per la poetica che ha dato ad un mezzo tecnologico. Le ricerche sul corpo e la sua resistenza in relazione al potere della mente di Marina Abramovic mi hanno conquistata durante gli studi accademici. Mi riporta ad una dimensione bambina la magia e la trasformazione dell’arte di Niki de Saint Phalle…Come vedi tutti artisti molto diversi ma che a loro modo raccontano di una dimensione sacra e creano ponti tra culture lontane e contemporanee.

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