FINALISTA PREMIO COMEL 2016

Intervista a Paola Lambitelli

di Rosa Manauzzi

Nasce a Napoli, dove tuttora vive. Si diploma come stilista presso l’Istituto Marangoni di Milano nel 1990 e da allora lavora con passione nel campo della moda. Negli ultimi anni sviluppa la sua vena creativa in altre direzioni: pittura, astrattismo materico, creazione di oggetti di arredo dal design moderno e raffinato. Si cimenta con materiali diversi. Tra gli altri, stucchi, legni di recupero, pietre naturali, alluminio. Artista versatile, lavora inoltre su plexiglass, cartongesso, legno. I suoi quadri creano effetti visivi intensi, giocando con la materia, le forme i volumi e i colori, il contrasto tra lucido e opaco. Tra le sue ultimissime mostre, la personale a Palazzo Venezia, “Neapolis” al museo d’arte moderna PAN (Palazzo delle Arti di Napoli), Premio “Arte e rivoluzione”, Napoli, e la collettiva “Gender chi?”, libreria Benedetto Croce, Napoli (2016).

Il tuo percorso di studi e la successiva vena creativa si completano in una visione artistica poliedrica che contempla diversi aspetti dell’espressione artistica. È la passione per la ricerca o l’animo inquieto che ti porta a sperimentare con tanta ricchezza?

Entrambi. Ricerca e sperimentazione sono alla base dei miei lavori materici, motori trainanti del percorso artistico vissuto e che sto vivendo. Mi stimola e mi incuriosisce lavorare la materia e così spazio tra materiali sintetici e naturali. Azzardo con provocazione e in maniera ludica improbabili “convivenze” tra oggetti di uso comune, e oggetti presi direttamente dalla natura, opera d’arte per eccellenza.
Animo inquieto, che dire, certamente ho anche un animo inquieto. Se così non fosse, non sentirei il bisogno di esternare il mio “essere” attraverso le tante forme artistiche a cui nel tempo ho dato vita, una frenesia creativa che viene fuori in maniera prepotente. Tutte espressioni tese a liberare le mie emozioni e così mettermi in gioco continuamente, sfidando la paura di essere giudicata.
Beato chi pensa di non avere un animo inquieto, oserei dire.

Qual è il tuo Olimpo artistico di riferimento e come è evoluto nel tempo?

Il gusto artistico si evolve continuamente: occhi e mente si riempiono tutti i giorni di nuove immagini, di fotografie, di ricordi, di sogni e dei colori della vita e questo per me è meravigliosamente arte. Tanti sono gli artisti che mi hanno dato le chiavi di lettura del tempo in cui vivevano e che mi hanno trasmesso il loro stato d’animo. Da giovanissima sono stata fortemente attratta dall’impressionismo, passaggio quasi obbligato per apprezzare tutto ciò che è venuto dopo. È stato un buon punto di partenza. Ho adorato e adoro Van Gogh, di lui mi piace semplicemente tutto. Successivamente ho conosciuto e mi ha affascinato l’espressionismo astratto americano dove l’artista lavora senza un progetto. Grandi pannelli in cui ci si perde tra colori e materia. A seguire, i miei riferimenti sono anche Boccioni, Kounellis, Kline, Emil Nolde, Pollock, e Burri per la sua ricerca e sperimentazione materica. Un posto molto speciale lo lascio a Louise Bourgeois che negli ultimi anni seguo particolarmente. Sono rapita dalla genialità e dalla poliedrica produzione di quest’esile donna, anche se confesso di trovarla molte volte davvero inquietante.

Il rosso e il fuoco

Il contrasto è un elemento importante nelle tue opere… penso ad esempio all’affascinante “Il rosso e il fuoco”, a “Il mare di notte”, “Il ritorno”, “Sogno”; e il ricorrere alla lotta tra luce e opacità. Questa dicotomia è la metafora cromatica degli estremismi del nostro tempo?

I contrasti che emergono dalle mie opere, rappresentano una continua ricerca di armonia. E anche se la cosa può apparire una contraddizione, in realtà è proprio nella collisione degli opposti che io trovo un giusto punto di equilibrio. Anche nella vita, come nella mia produzione artistica, provo a far coesistere i contrasti e cerco un sereno modus vivendi prendendo, il più delle volte, la natura come esempio. La mia convinzione è che c’è sempre un punto d’incontro nascosto ed essere in armonia con la natura è per me indispensabile.

Molte tue opere sono realizzate con o su plexiglass. A cosa è dovuta la scelta frequente di questo materiale?

Mi è capitato di disegnare una serie limitata di lampade in plexiglass, da qui la mia conoscenza con questo eclettico materiale, tanto usato negli anni ‘70 ma poi messo un po’ da parte. Liscissimo al tatto, perfetto nel suo taglio a laser, lucido come uno specchio, trasparente o matto, con un’intensa varietà cromatica, è stato da subito “amore a prima vista”.
Davanti ad una lastra di plexiglass, mi pervade un senso di pacatezza, e di tranquillità. Come se questo materiale industriale, così rassicurante nella sua solidità e così ben definito, rappresentasse un porto sicuro cui affidare “la mia materia”, con tutte le sue sbavature, le sue incertezze, e le sue fragilità. Ancora un altro contrasto dunque, forza e debolezza, emozioni dell’animo umano che vanno oltre il mero concetto estetico.

Genesi di Tabu

L’opera scultorea “Ammonites” viene selezionata per partecipare al premio COMEL. Si tratta di un’ammonite ricavata e animata a partire da un tubo in alluminio su fondale nero. Un’opera di impatto immediato che a partire dalla tela-sostegno si protende verso lo spazio circostante con una sorta di vita tentacolare. Vuoi raccontarci come è nata quest’opera, perché hai scelto un simbolo tanto antico come l’ammonite (con il suo potere energetico correlato al suo essere creatura antica che riaffiora nel presente) e se/come è cambiata la tua produzione artistica dopo il Premio COMEL.

Ammonites è l’espressione fantasiosa di un particolare periodo della mia vita. Radici profonde che riaffiorano nel mio presente con immutata forza, è un ricordo che non vuole sbiadire lasciando ogni volta la stessa intensa emozione. È il mio legame col mare che per me è la cura ad ogni male, la cui profondità non spaventa perché illuminata da forme di vita dotate di luce propria. Quest’opera è l’unione di un forte sentimento e di una progettualità legata all’utilizzo dell’alluminio, un materiale duttile e luminoso che mi ha affascinato e che, dopo l’esperienza del Premio COMEL, è sempre più presente nelle mie opere.

Il design è un altro ambito in cui sei molto a tuo agio, raggiungendo un’eleganza compositiva originale. Essenzialità geometrica ed equilibrio sono le caratteristiche che contraddistinguono le tue lampade. Quali sono gli oggetti di design che prediligi di più?

Contrariamente a quanto avviene nelle mie opere, nel design amo la pulizia delle linee geometriche, la monocromia, e le trasparenze. Mi piacciono molto le librerie vintage anni ’60-’70 di Franco Albini, gli arredi essenziali, stilizzati, e sono convinta che un pezzo di design, se ben fatto e se nato da un’attenta ricerca, possa esteticamente durare nel tempo.

Labili confini

Dagli anni ’90 ti occupi del marchio di moda Chiaraluna. Quanto è importante la creatività artistica nella tua attività commerciale? E come la esprimi?

Direi che un impulso creativo ha attraversato tutta la mia vita. Non saprei dire di cosa si tratti, probabilmente un insieme di percezioni confuse di cui spesso non ci si rende conto, qualcosa forse che si avvicina all’istinto.
La mia attività “Chiaraluna”, nel campo della moda per bambini, mi ha dato tante soddisfazioni e ha rappresentato una prosecuzione naturale dei miei studi milanesi di stilista di moda. Ma non solo, il tipo di prodotto artigianale è stato come una tela su cui esprimere il mio senso estetico, sia per l’abbinamento dei colori sia per l’ideazione del modello, la scelta dei materiali, dei filati, dei ricami. Come dire: anche questa per me è arte… e me ne sono accorta soltanto nel tempo.

Tra le tue recenti mostre, “Gender chi?” ha un titolo provocatorio e allusivo. Viviamo in un’epoca assai strana, in cui il nome gender a qualcuno evoca esperimenti mostruosi, ad altri suscita ilarità sapere che ancora oggi c’è chi si scandalizza a parlare semplicemente di genere. Del resto, di tabù ti sei interessata in un’opera omonima, dal titolo proprio “Genesi di tabù”, con cui hai voluto lanciare un appello all’accoglienza e contro i condizionamenti sociali. Qual è stato l’obiettivo della mostra e con quale opera hai partecipato?

Nella vita non dovrebbero esistere lacci che impediscono la libera espressione della sessualità e del proprio essere. La tematica di genere è trattata dai media in maniera superficiale e c’è ancora tanta retorica sull’argomento. Partecipare alle mostre “Gender chi?” e “Tabù” è stato un modo per comunicare, attraverso l’espressione artistica, che nulla dovrebbe scandalizzare se trova una sua collocazione nella natura.
La mostra “Tabù” aveva l’obiettivo di mettere in risalto tutti i condizionamenti (tabù) che limitano la nostra vita. Io con la mia “Genesi di tabù”, ho voluto rappresentare come a volte un modo di pensare tradizionale comprima a poco a poco tutti i sentimenti e trasformi emozioni come l’amore e la libertà in stili comportamentali come il pudore, la colpa e la vergogna. È l’iter che porta dall’innocenza dei bambini alla rigidità degli schemi delimitati dai condizionamenti sociali degli adulti.

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2023-08-08T07:42:45+02:00
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