FINALISTA PREMIO COMEL 2016

Intervista a Loredana Manciati

di Rosa Manauzzi

Nata a Roma. Dopo il Liceo Artistico, si laurea in Architettura. Prosegue la formazione in Pedagogia e Didattica dell’arte, Allestimento, Didattica museale. Attraversa diversi linguaggi, quali: fotografia, grafica, disegno applicato alla decorazione del tessuto e dell’ambiente. L’ecclettismo espressivo le consente di realizzare opere tra figurativo e astrazione, tra espressionismo informale e dimensione simbolica. Impegno ed energie sono rivolte, da molti anni, alla professione di docente in “Disegno e storia dell’arte”. Al fondo di ogni sua opera è presente una vigilata tensione tra vedere e sentire. Tutto accade nella dimensione interiore, a costituire una espressione costantemente segnata da una profonda natura spirituale. Il suo obiettivo è che l’opera possa essere colta “come una sensazione familiare; un’esperienza condivisibile da tutti”. Interessata all’interazione opera-spettatore e allo stesso tempo riconosce che l’idea da realizzare sia superiore alla materia utilizzata. Per tale motivo questa si dovrà piegare all’istinto e alla passione, avvicinandosi così alle tante variabili umane che aspira a rappresentare.

Dare una definizione della tua arte è impresa complessa, considerata l’eterogeneità della tua produzione. Da quale percorso scaturisce l’opera di Loredana Manciati?

Mi propongo di esprimermi nel modo più autentico possibile, sgombrando la mente da tutte le possibili interferenze (condizionamenti del contesto culturale contemporaneo, delle mode, ecc.). Il mio punto artistico, il cosiddetto centro di gravità permanente qual è? Il riferimento costante, risale alla mia formazione: è la mia visione “umanistica” dell’arte. Per l’artista ogni strumento, tecnica e linguaggio può essere scelto, senza retorica per avvicinarsi all’animo, alla sensibilità di chiunque. Lo scotto da “pagare”, che tuttavia non mi pesa affatto, è vagabondare tra i percorsi espressivi senza soluzione di continuità. L’arte è sempre concreta, sia quella iconica che quella aniconica. L’eterogeneità è un valore che mi arricchisce costantemente di esperienze nuove e generatrici di una forte creatività.

Quali sono oggi gli artisti che segui di più e perché?

Quelli storici sono per me unici, spontanei e complessi nello stesso momento come:
Umberto Boccioni, Balla, e poi Matisse e Cezanne per la costruzione dello spazio e il colore. Per l’animo profondo: Van Gogh, Licini, Burri. Per i contemporanei, dobbiamo attendere ancora del tempo, una distanza storica che ci chiarisca la percezione del loro operato. Non condivido sicuramente l’arte “spettacolo”, esteticamente votata solo allo stupore, fino a volte a toccare lo sgomento ed il ribrezzo.

Hai definito le opere di una tua mostra “humanitas”, accogliendo di fatto due sfide: la libertà dell’artista di sconfinare in ogni stile e corrente che il suo animo lo porta a scegliere, le libertà espressiva dell’essere umano nel creare, con la propria specificità e unicità, e nel leggere l’opera d’arte. L’arte quindi ha una funzione sociale nel riconoscimento dell’altro come portatore di un sentire unico che arricchisce tutta l’umanità?

Credo sicuramente che l’azione rigeneratrice del fare artistico si espanda dall’autore anche agli altri. Come insegnante ormai questo fa parte della mia anima più profonda.
Ogni mio studente sa perfettamente che non ha avuto l’insegnante più competente ma sicuramente quella che ha sempre sostenuto il suo percorso, facilitandogli l’espressione e la crescita umana (questo attraverso la cultura dell’arte).

Figurativismo, astrattismo… non importa la corrente, piuttosto rivendichi il diritto alla libera espressione. E nel farlo eviti però sia una visione realistica, che sarebbe una sorta di ripetizione, sia l’interpretazione mimetica. Così il paesaggio diviene indefinito, inafferrabile, diviene un percorso spirituale. Questo esprimono le tue opere “Energia libera”, “Dialoghi”, “Onda”, ad esempio.

Come ho già detto, ed è proprio da questi titoli che si intuisce, l’immagine è potente, quelle da me realizzate raccontano storie, momenti speciali, spesso intimi, che provano a esibirsi ora attraverso forme e colori, o vere figure (il paesaggio è complesso, a volte sento il bisogno di dipingere nuvole, cieli, colline ecc.), a volte solo linee, forme e colori….

Il critico d’arte Giorgio Agnisola ha detto delle tue opere: “L’arte non consegue il suo fine se non diventa esperienza personale, viaggio interiore, se non entra nell’universo di ciascuno anche come luogo di un rispecchiamento psicologico ed emozionale”. A te interessa particolarmente questo rispecchiamento, la condivisione con lo spettatore.

Ritorna il tema della humanitas e della condivisione; forte per me è questo istinto! Non posso non ringraziare il Critico per questa autentica interpretazione del mio lavoro.

Presso il borgo medioevale di Olevano Romano, nel 2010, hai creato un’associazione no profit e spazio espositivo dedicato all’arte. Ci racconti questa coraggiosa esperienza?

I paesi sono luoghi esclusivi, non hanno nulla in comune con la città (come Roma dove ho vissuto per i miei primi 40 anni). L’esperienza è stata a metà positiva per le possibilità offerte dal luogo ameno; l’altra metà è difficile da definire, perché l’abbandono culturale è tale da colpire qui come altrove, in una globalizzazione spietata.

Una tua recente mostra, tra marzo e giugno dello scorso anno, presso gli “Spazi le Cerquette” a Olevano Romano, ha avuto come titolo “Essentiality, l’essenza della natura”. Possiamo tranquillamente affermare “meno male che c’è l’arte ad interessarsi di natura!”

Possiamo affermarlo ma l’intelligenza ed il rispetto, la sensibilità per l’ambiente naturale non sono valori scontati. In questo caso vorrei che le mie opere fossero “guerriere”, strumenti ancora più potenti per diffondere l’amore vero per la natura.

Nel 2016 la tua opera “Codice d’illuminazione” (pittura, foglio di alluminio di riuso dipinto con velature a inchiostro e acrilico) viene selezionata per il Premio COMEL. Quali sono i materiali che usi in genere per le tue opere e quando hai deciso di sperimentare sull’alluminio? Il Premio COMEL ha influenzato la tua vena artistica?

Per il Premio COMEL “Lucente alluminio”, ho esplorato il valore luminoso e riflettente della lamina, senza coprirla, ho lasciato trasalire il suo splendore.
Il premio mi ha permesso di provare e riprovare, umilmente tralasciare quello che si sa fare bene per sfidare se stessi e la materia che si sta lavorando. È la “fatica” dell’arte. Concorsi come questo mancano davvero nel panorama internazionale. Dietro c’è vera passione, questa è la sua forza!

“Padiglione Tibet: ponte tra culture”, un progetto al quale prenderai parte con una tua opera quest’estate. Di cosa si tratta?

Il titolo è emblematico: “Ognuno è tutto e tutti siamo uno”. Piccole strisce di tessuto cucite sulle caratteristiche bandierine di preghiera tibetane presentano il disegno di occhi di varie etnie, gli sguardi che noi ci scambiamo non sono insignificanti, possono essere distratti, ma ognuno trova negli occhi dell’altro una parte di sé e del tutto al quale apparteniamo come umanità. Molto chiaro, risponde al valore formativo che io attribuisco all’arte.

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2023-08-08T07:49:41+02:00
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