FINALISTA PREMIO COMEL 2017

Intervista a Elisabetta Onorati

di Rosa Manauzzi

Artista poliedrica, ama sperimentare diversi materiali, spesso recuperati dalla natura, e con cui crea continue narrazioni. Noti i suoi cavallini (esposti in varie zone della Sardegna) dedicati all’infanzia e alla Sartiglia di Oristano, gioco equestre tradizionale. Riporta in vita antiche leggende sarde attraverso la scultura. Recentemente il suo studio si è rivolto alle capacità comunicative dei metalli, nello specifico l’alluminio, di cui apprezza la proprietà riflettente. La sua arte è un’indagine sull’esistenza e sulla natura. Sperimentando tecniche diverse, lavora il metallo con commistioni di altri materiali in un’armoniosa convivenza.

Se fossi te…If I were you è un quadro piccolo (cm 40x50x1), una scultura più precisamente, su lastra di alluminio che, nonostante le dimensioni ridotte, riesce a farsi notare in modo stringente. L’opera le ha consentito di essere selezionata tra i tredici finalisti del Premio COMEL 2017. Il tono minimalista e quasi timido, l’alluminio tirato a lucido come il cielo, nella parte superiore, e ondulato come il mare, nella parte inferiore, è segnato in mezzo (come un orizzonte urlante) da una linea di stracci (piccoli lembi che riproducono i vestiti strappati dei migranti).
Sulla superficie marina, la “piega” (per dirla con Gilles Deleuze) che serve a corrugare le mappe, che non sono (non possono essere) geometriche e piane; al contrario, sono dense di avvenimenti storici e umani. Perché ha deciso di offrire al pubblico questa raffigurazione corrugata/corrucciata del mare?

L’immagine che comunemente abbiamo del mare è un luogo di svago, di vacanza, di lavoro per alcuni, ma comunque non legato certamente al dolore, soprattutto per me che vivo in una meravigliosa isola. La bellezza del mare, che tutto vorrebbe essere tranne che un cimitero di innocenti, è invece oggi ciò che segna la separazione non fisica, geografica, ma morale tra noi e la povertà, la sofferenza, la guerra. Il mare visto nelle sue profondità che poi emergono appunto negli abiti stracciati dei migranti, dove quella “piega” porta l’invisibile in superficie. Lo specchio di alluminio dà la possibilità di entrare in quelle profondità, e alla domanda se fossi te… dobbiamo darci una risposta. Immergerci per capire, per riflettere come riflette l’alluminio il tuo volto sotto il mare. Tu e non un altro essere umano. Cosa avresti voluto: indifferenza , disprezzo oppure una mano per tirarti in salvo, in superficie, quella dove si vive, si respira. Non l’apnea dell’attesa che qualcosa cambi, ma ossigeno da condividere, che sia nella tua terra natia o il resto del mondo. E da qui quell’urgenza di condividere il mio pensiero, una esortazione all’empatia.

Qual è la stata la sua formazione artistica e chi sono i suoi “artisti guida”?

Sono una pura autodidatta, con l’arte probabilmente nel cuore e nelle mani e non ho degli artisti guida. La mia formazione artistica è nata sul campo, dall’urgenza di rendere i miei pensieri visibili, da condividere. Provengo da una famiglia dove mi è stata insegnata la bellezza del saper fare e la bellezza della condivisione. Ho la fortuna di avere delle mani abili che mi permettono di materializzare i miei pensieri. Le tecniche che utilizzo sono frutto di scoperte sul campo unite agli insegnamenti paterni. Utilizzo diversi materiali, legno, metallo, stoffa, pelle e tutto ciò che la curiosità e l’esigenza di dare una forma fisica alle mie riflessioni mi ispira. Sono in costante ricerca di ciò che più mi permette di esprimermi. Talvolta sono proprio i materiali che mi ispirano come nel caso dell’alluminio. I miei lavori sono narrazioni, denunce, riflessioni. Parole che si esprimono con la poesia del materiale.

La natura e i suoi materiali. Il cielo, i bagliori dei riflessi sulla superficie del mare che definisce “i veri diamanti”… Un rapporto molto stretto con l’ambiente e con il territorio (e le sue tradizioni) sembra essere una costante della sua arte.

Si. La Natura ha in sé l’essenzialità e la semplicità che l’uomo ha perso di vista ed è per me invece un luogo di ispirazione e riflessione. Uno dei miei lavori, “Il respiro”, frutto di una mattinata splendente di sole, preludio di una imminente estate, racconta il rapporto dell’Uomo con la Natura, intesa come salvezza. Un rapporto che non può cessare e il paradossale progetto dell’uomo di voler vivere senza, in costante apnea rinchiuso nel cemento. Questo è di fatto il cammino dell’uomo attuale. La Natura è il nostro ossigeno e le tradizioni hanno un legame indissolubile con essa.

A proposito di tradizioni, i suoi cavallini (rigorosamente tutti pezzi unici) sono stati in tour per la Sardegna, come testimonianza della Sartiglia di Oristano e anche come monito, probabilmente, a conservare l’anima bambina che è in noi senza mai scalfirla con la corruzione adulta. Possiamo dire che la tradizione di un territorio è il bambino da conservare immutato, nonostante gli anni e lo sviluppo? Il cavallino è la sua Sardegna dell’infanzia?

Direi in parte. È un bambino che cresce con la società. È l’unico modo per tenerlo in vita. Le tradizioni sono la base dell’albero, le radici. L’albero con i suoi rami si adatta al clima, al territorio e cresce, così è per il bambino. I cavallini infatti attingono dalla tradizione e hanno qualcosa di nuovo, sia per come li realizzo (alla semplice canna di cui erano fatti in passato ho sostituito l’orbace e il broccato dei costumi tradizionali sardi, creando delle sculture di stoffa) sia per l’adattamento alla vita dei bambini di oggi. Sono nati per i miei figli più di quindici anni fa. Volevo educarli al gioco di fantasia, stimolare la loro inventiva e il gusto dell’essenziale, anche nel gioco. La nostra casa è così diventata campo aperto dove correre all’impazzata per prendere la stella, una prateria dove inseguire i banditi. Il primo cavallino si chiamava appunto Tornado. Il cavallino di canna diventa un compagno di giochi differente. Mi piace l’idea della condivisione delle diverse tradizioni, non appartengono al territorio, sono un bene comune. La mia Sardegna era ed è prevalentemente fatta di Natura, di racconti, di alberi millenari. Ho la fortuna di avere una madre sarda e un papà ciociaro che mi hanno insegnato ad amare la Natura e rispettarla e ho potuto attingere da due mondi diversi. I cavallini sono non solo la mia infanzia ma l’infanzia, quella che per fortuna riemerge ad un certo punto della nostra vita adulta.

Nell’opera recente Love Beyond Colors due fiori, nati da due lastre d’alluminio, sono collegati attraverso un sottile filo rosso. In basso, una superficie specchiata mostra i passi che si possono compiere per raggiungerli. Qual è il suo rapporto con l’alluminio e come lo mette in rapporto con la sua narrazione sui colori (e la loro valenza simbolica)?

L’alluminio è sicuramente una tappa del mio percorso che immagino come un tappeto. Ogni materiale nuovo, ogni lavorazione utilizzata, sono i fili che insieme stanno tessendo la mia arte. Tutti i fili portano con sé parte dell’altro, non sono studi slegati. Proprio perché è un metallo, porta il pensiero a qualcosa di duro, di freddo. In realtà racconta la vita nei suoi aspetti più bui in simultanea contrapposizione alla luce vitale. Assomiglia al mare d’inverno illuminato dal sole la mattina presto. È come una tela che non assorbe i colori ma li riflette. Il non colore si traduce così in mille colori. Per il momento, è il materiale che più riesce ad esprimere il mio pensiero. Mi permette di giocare con i riflessi.
“Love beyond colors” fa parte di un serie che racconta proprio dell’Amore che va oltre. In questo caso oltre il colore, nella fattispecie bianco e nero. Colore della pelle, colore di idee. Il filo rosso è l’amore che unisce, va oltre la differenza. Le due semisfere riflettenti, in cui nascono i due fiori simbolo, sono le due metà di un unico mondo. In questa serie, e come in quasi tutti i miei lavori, ho accostato l’alluminio lucidato a specchio ad alluminio inciso, per rendere partecipe chi guarda, riconoscendosi. È un dialogo visivo.

Aleppo. Where have all the Children…Mothers…Brothers and sisters gone è una denuncia forte, cruda. L’arte si fa ribelle, mostra, spietata le conseguenze della guerra. Non c’è una via di mezzo, una misura accettabile nella guerra. Può scorrere solo sangue. Come si trattiene il dolore nel creare un’opera-denuncia di questo tipo?

Non si trattiene, ed è proprio per questo che è nata. È dedicato ad Aleppo, a tutte le Aleppo. Ho tratto spunto dal ritornello, rivisitato, della famosa canzone di Pete Seeger, Where have all the flowers gone, cantata negli anni sessanta come canzone denuncia sulla guerra, da Joan Baez e precedentemente dalla Dietrich, nella versione più struggente. Dalla terra intrisa di sangue nascono i fiori: madri, bambini, fratelli e sorelle. Ecco dove sono. Ed è qui la speranza che non muore.

Spesso noi affermiamo che “la bellezza salverà il mondo”, mutuando quest’espressione dall’Idiota di Dostoevskij, ma questa è solo una frase che ci permette di deresponsabilizzarci, la bellezza non può salvarci, siamo noi che, invece, dobbiamo salvare il paesaggio, dobbiamo salvare la bellezza. Non c’è bellezza senza storia, non c’è bellezza senza memoria”. Così si è espresso Salvatore Settis sulla bellezza. Sta a noi recuperarla ovunque essa risieda. Lei invece, a questo proposito ha dichiarato: “A parità di decimi c’è chi vede la bellezza e chi no. È lo sguardo che fa la differenza.” E l’artista che ruolo ha in questa preziosa salvaguardia?

Alla Bellezza ci si educa. Lo sguardo, inteso come consapevolezza, come ricchezza dell’anima. Quella ricchezza di cui siamo eredi dalla nascita e che va fatta fruttare, salvaguardandola e alimentandola con l’educazione. Quindi sì, a parità di decimi non tutti hanno quello sguardo. L’artista ha il compito prezioso di educare l’anima, ha il privilegio di far parte del “sistema educativo”.

Un progetto collettivo che le piacerebbe realizzare?

Nei miei sogni esiste uno spazio urbano dedicato ai ragazzi dove scoprire e sperimentare i propri talenti. Un luogo gratuito di condivisione dove gli artisti e non, possono svolgere il compito di “educatori alla Bellezza”
Un progetto invece che si realizzerà dal 30 aprile prossimo, è una mostra collettiva qui a Cagliari con una parte degli artisti finalisti della sesta edizione del premio COMEL. Il tema è “Like a mirror – reflections about aluminium”. Una condivisione che spero continui nel tempo con progetti comuni.

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