MENZIONE SPECIALE DELLA GIURIA 20-21

Intervista a Marcello Trabucco

di Ilaria Ferri

Architetto alla cui attività affianca quella artistica e di insegnante di storia dell’arte, Marcello Trabucco è nato a Volterra e si è trasferito durante l’infanzia a Latina, dove ha frequentato il liceo artistico per poi laurearsi in Architettura presso l’Università La Sapienza di Roma.
Nel suo percorso artistico ha esplorato diversi linguaggi, in particolare ha realizzato opere di pittura, sculture e incisioni. Ha all’attivo diverse pubblicazioni dedicate all’architettura delle città di fondazione e alla trasformazione del paesaggio e del territorio. Ha partecipato a collettive e personali in varie città italiane e all’estero.

In gran parte delle tue opere geometria e natura si fondono in una sorta di astrattismo naturale in cui le forme sono solo suggerite ma comunque nettamente comprensibili. Quanto la natura, il mare, il paesaggio incidono sulla tua ispirazione?

L’osservazione di quanto ci sta intorno, fa parte della mia curiosità che riporto nel mio operare, gli elementi naturali analizzati nelle forme e nei colori costituiscono emozioni, spunti di riflessione che in maniera anche indiretta ritornano nelle opere, capaci di assumere vesti nuove, scollegate dal contesto iniziale.

Le tue sculture hanno un apparente assetto bidimensionale, quasi fosse un retaggio di certe tendenze artistiche del secolo scorso. In realtà giocano con lo spazio molto più di quanto uno sguardo superficiale possa cogliere. In che modo lo spazio entra nella tua ricerca artistica? È un vuoto da riempire o un concetto da esplorare?

È una domando centrale. Fin dalle prime esperienze è lo spazio che ci avvolge, lo spazio in cui noi ci muoviamo che interessa il mio operare, e questo fa sì che la tela è uno spazio che trovo limitato per il mio racconto. Gli elementi che utilizzo quale il segno in quanto traccia lasciata dall’uomo, la forma e il colore devono entrare, proiettarsi nello spazio reale, dialogare con esso interagire e organizzare la percezione. Questo è il motivo per il quale non soltanto nelle ultime opere ma quasi una costante lo spazio è parte del dipinto, dell’opera risente ed è plasmata dallo spazio reale.

Marcello Trabucco al lavoro sull’opera Ipotesi Ricostruttiva, 2020

Nel tuo percorso artistico hai sperimentato diverse tecniche: la scultura, il disegno, la pittura, l’incisione. In molte delle tue opere queste anime si fondono ottenendo installazioni fatte di vari materiali (dalla ceramica ai metalli, dal legno alla carta e alla tela) spesso ricchi di colori intensi, di incisioni che richiamano una sorta di scrittura perduta. Quale tecnica senti di padroneggiare meglio? Quale ti rende più libero di esprimerti?

Ritengo che ogni tecnica ha delle regole, presenta delle possibilità espressive che vanno indagate per meglio conoscerne le potenzialità. Non ho delle preferenze ma tante curiosità che mi spingono alla ricerca del nuovo. Questo vuol dire che possano esserci, e vanno indagate le contaminazioni, come accade in tutte le forme espressive contemporanee. È quanto è accaduto con l’incisione su lastra fatta per ottenere delle copie a stampa, per poi passare alle morsure direttamente su lastra di alluminio per ottenere un segno/disegno come espressione autonoma.

Ti sei diplomato al liceo artistico e poi laureato in Architettura e da sempre la professione di architetto viaggia in parallelo con la tua ricerca artistica, questa compenetrazione di mondi si evince anche dalle linee e dalle forme delle tue opere. Vivi e lavori a Latina, città del razionalismo, quanto questo stile architettonico ha influito sul tuo modo di pensare l’arte e sul tuo stile? Quanto, secondo te, il territorio incide sull’operato di un artista?

Così come il territorio in cui viviamo viene plasmato dalle attività umane, penso che l’ambiente che ci circonda, la geografia, la storia, le frequentazioni oltre alla scuola e le conoscenze ci offrono delle opportunità che bisogna saper cogliere per definire il percorso, la strada da intraprendere. Sicuramente la presenza delle forme degli edifici della città e la preferenza di maestri dell’architettura razionalista quali Walter Gropius o l’italiano Giuseppe Terragni, hanno indirizzati la mia ricerca. Prediligo l’architettura che mostra linee strutturali di cui è composta, quasi a mostrare lo scheletro, preferisco le forme di una scultura bidimensionale come quelle di Consagra o i volumi di Moore in quanto definiscono dei rapporti con l’intorno, venendo attraversati dallo spazio, dalla luce che insieme contribuiscono a definire l’opera.

Sinuosità della Memoria, 2017

Tra le tue attività non va dimenticato un fervido lavoro di ricerca, documentazione e racconto del territorio. Attraverso svariate pubblicazioni, hai raccontato la storia e la trasformazione del territorio pontino: dalla bonifica ai primi edifici, dalle bellezze naturali a quelle create dall’uomo. Una ricerca e promozione della Bellezza di luoghi poco conosciuti e il racconto di una storia fatta di uomini e natura. Come è nato questo amore per la memoria? Questo desiderio di cercare e divulgare documenti, ricordi e saperi del passato?

La riposta si collega direttamente con la domanda precedente in quanto vivere un territorio sia come docente che come architetto implica la conoscenza dei luoghi non soltanto dal punto di vista fisico ma anche storico e sociale. Poi conoscere i territorio dove si vive secondo me favorisce quel senso di appartenenza, specialmente in un territorio per certi versi giovane che cerca una propria identità storica. Questa non può coincidere soltanto con la fondazione della città, ma far riferimento ad un periodo più lungo, alle realtà dei centri collinari, alle popolazioni che hanno vissuto il territorio prima di noi, lasciando opere e tracce ben visibili.

Il tema della memoria e del racconto si ritrova in molte delle tue opere. È forse un modo per coniugare le tue passioni? O al contrario sono le tue passioni ad avere un comune denominatore?

Forse è la seconda che mi appartiene di più. La memoria come storia sia che riguarda il territorio in cui vive, sia come storia delle tracce lasciare dall’uomo antico o contemporaneo sollecitano il mio interesse e la mia ricerca. Fanno parte della memoria non soltanto i racconti o quanto riportato dagli storici ma anche le tracce lasciate dal tempo sui materiali che possono attrarre la nostra attenzione, pietre, intonaci consunti, lamiere e legni a volte levigati, consumati dall’acqua o dall’esposizione al sole.

Frammenti sospesi, 2021

La tua opera Configurazione mutevole di segni antichi ha ricevuto una menzione speciale da parte della giuria del Premio COMEL. Come è stata per te questa esperienza? Com’è il tuo rapporto con l’alluminio? Come è nata questa opera?

L’esperienza è stata fortemente positiva. Essere stato scelto dalla giuria, aver ricevuto la menzione speciale è stato bello e stimolante quanto essere presente alla mostra con artisti ed opere di notevole spessore, ma con linguaggi espressivi completamente differenti. La relazione con l’alluminio è aperta a molteplici potenzialità che ancora sto indagando, un mondo di possibilità tutte da sperimentare. Mentre l’intenzione di iscrivermi al concorso è stata subito colta per mettermi come al solito alla prova, l’elaborazione è stata favorita dal tempo dilatato dalla pandemia Covid 19. Il periodo mi ha permesso di riflettere su quanto stava accadendo e nello stesso momento, utilizzare questo tempo sospeso per immaginare nuovi indirizzi di ricerca, stimoli per nuove opere.

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