PREMIO COMEL VANNA MIGLIORIN 20-21

L’alluminio nell’Arte del ‘900: Conversazione con Elena Pontiggia

L’alluminio nell’arte del ‘900: omaggio a Regina Bracchi

Come evento collaterale alla mostra Legami in Alluminio, che vede in esposizione le 13 opere finaliste dell’ottava edizione del Premio COMEL Vanna Migliorin Arte Contemporanea, si è svolto giovedì 7 ottobre l’incontro con la storica dell’arte e accademica, nonché membro della giuria di questa edizione del Premio COMEL, Elena Pontiggia.
La professoressa, tra i massimi conoscitori mondiali dell’arte tra le due Guerre, ha tenuto una conversazione di approfondimento sul binomio arte e alluminio focalizzando l’attenzione sul primo Novecento e parlando di un’artista di grande interesse: Regina Bracchi.

Elena Pontiggia ha esordito confessando il suo apprezzamento per la città di Latina Latina è un museo a cielo aperto. In Italia in particolare, ma anche in tutto il mondo, sono un certo numero le città che sono musei a cielo aperto, ma sono tutte antiche. Città contemporanee create nel 900 e divenuti musei a cielo aperto ce ne sono pochissime e tra queste pochissime, la vostra città è in primissima posizione … venire a Latina per uno studioso dell’arte tra le due guerre è l’esperienza di vedere dal vivo le cose che hai amato di più. Non è la prima volta che vengo, ma tornare è sempre una grande emozione”.

Si è poi entrati nel vivo del tema con l’interessante la definizione di scultura che per la professoressa Pontiggia è l’arte più difficile: “… non per niente Barnett Newman, il pittore americano, diceva ‘è quella cosa in cui si inciampa quando si vanno a vedere i quadri’. La scultura non accarezza l’occhio con il colore, è più difficile della pittura, meno spettacolare, meno comprensibile. È più difficile organizzare mostre di scultura, per via dei trasporti e dei costi, si fanno meno mostre di scultura … Quindi è doppiamente benedetta la ricerca che riguarda quest’arte così fondamentale!”.

Con le avanguardie del Novecento l’idea di scultura e soprattutto i materiali utilizzati cambiano: “Il Moderno – afferma la professoressa Pontiggia – ha coltivato un’idea diversa dei materiali: meno celebrazione e più emozione. L’alluminio ha tante qualità, tra queste c’è la leggerezza e dunque il lirismo piuttosto che il monumentalismo. Nonostante sia un materiale che ha una sua forza notevolissima, suggerisce una idea di levità, di luminosità e quindi è stato particolarmente amato dalle nostre avanguardie”.
Come ha rilevato Elena Pontiggia, in Italia l’interesse per l’alluminio si è diffuso soprattutto in ambito futurista, Filippo Tommaso Marinetti già nel manifesto Uccidiamo il Chiar di Luna (1909) affermava “l’importanza dell’alluminio come materiale nuovo e moderno, come materiale luminoso e leggero … L’alluminio è soprattutto luce, e quindi è una materia antimateria per via della sua luminosità”. Marinetti auspicava dunque il superamento della retorica sentimentale ottocentesca per un’arte nuova e moderna da qui il motivo per cui futuristi hanno avuto una propensione così spiccata per l’uso dell’alluminio: “il Futurismo – afferma Pontiggia – che è quella tendenza che ha cercato soprattutto il nuovo, il moderno, che si opponeva al culto ripetitivo dell’antico, non all’amore per l’antico in quanto tale, ma al culto, al dogmatismo professorale nei confronti dell’antico. Il Futurismo che vedeva tutto come movimento, come innamoramento del futuro, aveva come legge la ricerca di materiali diversi da quelli tradizionali”.
“L’alluminio – prosegue la studiosa – è identificato come un materiale del futuro per la luce e la leggerezza … quella leggerezza vitale, che non ha nulla di retorico, una leggerezza moderna. Anche parlando di poesia (Manifesto dell’aeropoesia n.d.r.) si cita l’alluminio. Marinetti amava talmente questo materiale che ne sentiva tutta la modernità”.

Dopo l’appassionata introduzione, la professoressa Pontiggia ha mostrato alla platea una serie di sculture futuriste in alluminio che dimostrano come la ricerca sulla scultura fosse rivoluzionaria e in cerca di nuove definizioni.Un esempio fra i tanti proposti è Il

Violinista (1921) di Thayaht (al secolo Ernesto Michahelles), in cui si vede “una specie di manto che lega insieme la figura e lo strumento musicale, quasi fosse una nota, un tutt’uno così armonioso, che ci da l’idea di quello che è il violinista, il musicista, o l’artista, e quello che siamo anche noi appassionati d’arte: siamo un tutt’uno con quello che amiamo, in questo caso con la musica”. Molto avvincente è stato anche l’accenno alla condizione delle artiste e in particolare delle scultrici “negli anni Trenta per una donna lavorare come artista era particolarmente difficile, in parte lo è anche oggi, ma allora lo era ancor di più. Ricordo che una grande artista Felicita Frai, mi diceva ‘e si ricordi, dica che era difficile fare l’artista perché nessuno ti prendeva sul serio’. È vero che nell’ottocento si insegnava alle ragazze a dipingere, a modellare, a ricamare o suonare il pianoforte. Quella non era ricerca artistica, era un esercizio salottiero. È evidente che quando ci si trovava davanti donne artista, con il retaggio di questa educazione delle ragazze di buona famiglia, si pensava ‘non siamo davanti a un vero artista’ che lotta per cercare di realizzare qualcosa e di esprimersi, ma ci troviamo davanti all’esercizio educato di una ragazza di buona famiglia. Dunque ci si portava dietro questo pregiudizio”.

Infine si è giunti a Regina Bracchi:Lei nasce in pianura padana – racconta la professoressa – nel 1921 si trasferisce a Milano e sposa un pittore e avrà da lui fortunatamente quell’appoggio che era così raro per le donne del tempo. Si avvicina al futurismo ma il suo essere futurista era molto sui generis. Lei affermava ‘io sono futurista perché sono allergica a ogni regola e imposizione di poetica e legge comune. I futuristi sono liberi e indipendenti quindi voglio essere futurista’. In effetti nella sua opera non c’è molto di Futurismo, ma lei ironicamente diceva ‘sono futurista perché faccio quello che voglio’”.
Nel ’34 firma il manifesto dell’Aeroplastica, scultura futurista ispirata al volo e aderirà anche al MAC al grosso movimento di arte astratta che si formerà a Milano nel 1948.
L’accademica ha mostrato al pubblico una serie di opere realizzate da Regina Bracchi che ha prediletto l’alluminio tra i vari materiali, sculture che si caratterizzano per la grazia, la semplicità e l’acuta osservazione della realtà, delle persone, dei sentimenti oltre che al sapiente uso dei materiali.

Tra le sue opere più famose c’è la Danzatrice (1930) nella quale Regina “prende questo foglio di alluminio e riesce con un senso di movimento, questo sì realmente futurista, a suggerire il movimento della danzatrice, che non è come il movimento di grazia delle danzatrici di Degas, ma un movimento di scioltezza. Questo movimento, a guardare bene, non ha niente a che fare con i veri movimenti della danzatrice in tutù ma è un movimento quasi deliziosamente goffo, in cui la danzatrice si libra come fosse una libellula nell’aria. È un esempio di libertà, di scioltezza, di agilità di piacere di muoversi piuttosto che il rigidissimo canone della danza classica tradizionale”.

Di grande interesse, tra le varie opere mostrate da Elena Pontiggia, c’è sicuramente L’Amante dell’Aviatore, in questa scultura “si vede come Regina lavorava – spiega la studiosa – prendeva un foglio di alluminio, e attraverso gioco di vuoti e pieni rappresentava la figura. Bellissima l’idea dell’amante dell’aviatore: che non era venuta in mente a nessun uomo artista, tutti gli scultori futuristi impegnati nel rappresentate scene di volo non avevano mai pensato a rappresentare l’amante di un aviatore. Forse serviva una sensibilità femminile, ma in realtà non è soltanto la donna innamorata dell’aviatore, siamo tutti un po’ amanti degli aviatori, noi – come direbbe Montale – la razza di chi rimane a terra, noi che non siamo artisti ma amiamo l’arte, noi che non facciamo grandi cose ma siamo innamorati di chi fa grandi cose, così siamo un po’ tutti sognatori in poltrona, che amano e osservano le cose belle anche se non siamo destinati a farle. Questa figura pensosa che si lascia andare alle fantasticherie, alla nostalgia, al desiderio, rimasta a casa, seduta è una immagine della vita anche nostra, e Regina la rappresenta così. Da un punto di vista stilistico è importante il passaggio alla bidimensionalità: da una scultura che è volume e spazio a una scultura che non è più spazio ma superficie, virtualità, astrazione spaziale. Al di là di queste innovazioni stilistiche, l’aspetto più coinvolgente del suo lavoro Regina è la sua poesia”.

Un incontro appassionante, illuminante, riguardo temi ancora poco studiati e approfonditi che fanno capire quanto ancora c’è da imparare sul secolo appena passato. Ed è la cultura, ma anche la passione e l’entusiasmo di studiosi come Elena Pontiggia che permetterà di comprendere l’arte contemporanea, figlia di quelle avanguardie, sempre troppo poco capita e apprezzata.

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