MENZIONE SPECIALE DELLA GIURIA 2016

Intervista a Giampaolo Cataudella

di Rosa Manauzzi

È un pittore autodidatta. Nasce a Noto (SR). Dopo gli studi liceali si trasferisce a Torino dove consegue la lauree in Ingegneria Aerospaziale. Vive e lavora a Cassino (FR). Legato all’arte e al disegno sin dall’infanzia. Pur non frequentando scuole e ambienti legati all’arte, ha sempre manifestato un innato e potente desiderio di espressione attraverso un percorso artistico che inizia con il disegno e prosegue poi con la pittura. Affascinato da opere di maestri come Van Gogh, Gauguin e gli Espressionisti, si misura per molti anni con il figurativo per poi, non più appagato, approdare nel variegato mondo dell’arte contemporanea che lo porta a seguire un percorso di sperimentazione continua. Le sue opere nascono come risultato finale di un processo creativo non programmato, modulato solo dal desiderio di appagamento estetico ed emozionale dell’artista.

Iniziamo dai tuoi studi, una laurea in Ingegneria aerospaziale. Di certo una facoltà che somma difficoltà estreme e coinvolge aspetti diversi, dalle singole discipline scientifiche all’idea di poter aprire orizzonti vasti e sconosciuti. Che utilità può avere per un artista possedere uno strumento simile, che per sua costituzione proietta o verso realtà altre e lontane o in spazi più piccoli ma altamente tecnologici?

La mia formazione universitaria rappresenta un legame indissolubile con quella realtà quotidiana, pragmatica, materiale, fatta di necessità fisiche, di problem solving, di vincoli spaziali e temporali con cui devo fare i conti ogni giorno, a prescindere dalla sua utilità o meno all’artista. È ormai parte integrante della mia forma mentis. Analizzando a posteriori i miei lavori ritrovo sparse tra le pennellate tracce di segni geometrici lineari, squadrati, rigorosi, che a volte contengono e imbrigliano il magma informe del mio estro più spirituale ed espressionista, e a volte ne sono contenuti.

Sei un artista autodidatta. Cosa ti ha spinto la prima volta ad avventurarti nell’arte? E quanto è stata importante l’infanzia siciliana nelle atmosfere e nei colori?

Nel mio caso non c’è una vera e propria prima volta. Da che ne ho memoria ho sempre rappresentato graficamente le immagini più intense che affollavano la mia mente, mosso dalla necessità o dal desiderio di esternare ciò che avevo incamerato, ciò che mi appassionava maggiormente. Certamente l’atmosfera siciliana con le sue immagini barocche di processioni religiose, di feste di paese, di edifici sontuosi, di ruderi senza tempo, di campagne arse dal sole e di mare, hanno alimentato quasi totalmente le opere figurative della mia infanzia. Quei ricordi, quelle immagini tutt’ora ricorrono spesso nei gialli ocra dei campi di grano o nei rossi vermiglio del Cristo alla colonna, nelle mie opere informali.

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Dalla frequentazione di cinema, teatri, gallerie d’arte, assimili linguaggi vari che in qualche modo ti ritrovi a riformulare secondo un’estetica del tutto soggettiva che definisci “effetto elastico”. Cosa intendi esattamente?

Gli studi di ingegneria aerospaziale, impegnativi e pressanti mi indussero a sospendere temporaneamente l’attività artistica, comprimendo gradualmente le mie istanze più viscerali di espressione dell’io. Quello che intendo appunto per effetto elastico è il processo inverso a quell’appiattimento creativo che mi spinse a un certo punto ad aprirmi a tutti gli stimoli artistici che la città poteva offrirmi incamerando ed esternando poi attraverso la mia pittura un linguaggio estetico per me nuovo e appagante.

L’incontro con Duilio Gambino e l’Over Studio Gallery ti consente di confrontarti con altri artisti e organizzare la prima mostra, “Senso vietato”, che comprende anche lavori di Mario Schifano. Cosa ricordi di questa esperienza?

È il primo vero confronto con il mondo dell’arte o con ciò che orbita attorno ad essa. Nonostante fossi all’epoca estremamente entusiasta di farne parte attiva, oggi ritengo che quell’esperienza non fu significativa per il mio percorso di ricerca artistica anche se, da un punto di vista biografico, segna sicuramente un importante riconoscimento e il conseguente sviluppo di una consapevolezza di artista non solo personale.

Il trasferimento a Cassino testimonia un mutamento artistico: dal figurativo espressionista pieno di cromatismo (pittura ad olio), del soggiorno torinese, la pittura si fa materica e sempre più tridimensionale. I paesaggi lasciano il posto a quadri informali ed espressioni astratte che invocano una libera interpretazione. Nascono le serie “Umanoidi” e “Metropolis”. Come cambiano i materiali e i soggetti? Chi sono gli umanoidi?

Negli ultimi anni della mia permanenza a Torino, le frequentazioni di gallerie d’arte moderna con opere di artisti del XX secolo come Basquiat, Haring, Pollock, Burri, Hartung, mi rivelano nuovi linguaggi artistici verso i quali avverto subito una forte affinità. Si aprono nuovi orizzonti comunicativi, nuove porte attraverso le quali liberare l’estro creativo. Le pennellate diventano astratte, tridimensionali, sovrapposte, incerte. Il figurativo con i suoi simboli e le sue forme definite, non è più adatto ad esternare le mie nuove istanze espressive che hanno come tema di fondo le città contemporanee, gli uomini, le loro idiosincrasie, la folla, la solitudine, la notte. Mi approccio ai pannelli di legno senza un progetto, senza una meta, come un esploratore, un esploratore di cosmi interiori. Le mie opere si sviluppano inseguendo linee, mescole, simboli che di volta in volta si svelano, alla ricerca di un optimum estetico che si cela fino all’ultimo. Rappresentano città osservate dall’alto durante ipotetici voli pindarici notturni, sono le opere che colloco nella serie “Metropolis”. Altre volte raccontano degli esseri che le popolano queste metropoli, creature bidimensionali di fattezze umane o animali la cui esistenza si svolge all’interno dei riquadri di una matrice invisibile, queste ultime appartengono alla serie “Humanoids”.

Sonno

Proprio uno dei quadri della serie “Metropolis” (2016) viene selezionato per il Premio internazionale COMEL V edizione e riceve inoltre la Menzione Speciale della Giuria critica, con la seguente motivazione: “L’opera è una superficie rilevata e informe, in cui il metallo trapela entro un cromatismo rossastro, con innesti e raschiature e segni incisi, scompartita in due zone recisamente divise da una fessura verticale, come una ferita che taglia al centro l’opera. La nettezza di tale fessura contrasta con la casualità del contesto formale. A fare da sintesi è la luce morbida, pacata, come un sotteso riverbero, che emana lievemente dal metallo.” Il metallo scelto consente di donare un’atmosfera pacata alla metropoli, nonostante le divisioni e i segnali ‘sociali’ forse non ottimali. Cosa ti affascina di questo soggetto?

Metropolis è di ridotte dimensioni, ma avvicinandosi ad essa, mi pare che dalla texture appaiano innumerevoli microcosmi urbani dove proiettare i propri mondi, che si sviluppano lungo direttrici matriciali, composti da spezzoni di vecchi indumenti, reali frammenti di vissuti, con forme geometriche quasi regolari ma dai bordi usurati e frastagliati, probabili quartieri nevralgici della città, e un taglio centrale che canalizza e decongestiona l’addensamento di attività umane, tutte tracce della frenetica ed effimera parabola dell’esistenza umana.

L’arte muta a seconda del posto che l’artista vive o di cui sente nostalgia. L’arte viaggia senza confini. L’astronauta Luca Parmitano, osservando la Terra dallo spazio ha affermato: “Dalla Stazione spaziale internazionale la Terra si vede senza confini territoriali… quello che si può ammirare è la bellezza e l’armonia dell’insieme”.
Pensi che in un’epoca di ritorno ai muri, l’arte possa rappresentare uno strumento di unione? Ha una funzione sociale?

La mia modesta opinione è che l’arte nasca come attuazione del desiderio o bisogno di bellezza insito nell’animo umano, bellezza nelle forme, bellezza nei pensieri, nelle idee, nei sentimenti e che inseguire la bellezza porti prima o poi a scontrarsi contro le brutture della nostra società, contro i muri, contro i limiti culturali, contro gli stereotipi; ma quando accade che tale desiderio è accompagnato anche da abilità e grande coraggio, il coraggio di difendere la bellezza, allora forse proprio in quel momento, l’arte può diventare in grado di fessurare le barriere materiali e immateriali che ci dividono e che ci omologano.

Il progetto artistico di prossima realizzazione?

Oggi lavoro con lo sguardo rivolto al contesto artistico contemporaneo internazionale. Mi muovo seguendo le sollecitazioni di concorsi d’arte internazionali, come è stato con il Premio COMEL, stimoli e spunti che provengono non solo dai consueti spazi in cui si è soliti trovare l’arte, ma da realtà alternative: essere contemporaneo prevede tra l’altro sapersi muovere su binari mai esplorati, accogliere le sfide e lanciarsi verso l’ignoto, portando l’arte là dove non si è abituati a trovarla.

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2023-08-07T22:09:34+02:00
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