MENZIONE SPECIALE DELLA GIURIA 2022

Intervista a Federica Gionfrida

di Rosa Manauzzi

Nasce a Roma. Dopo il Liceo Artistico si laurea in architettura, presso l’Università La Sapienza, nel 2006. Si appassiona alla grafica applicata ai mezzi informatici. Si esprime artisticamente attraverso il connubio di arte e architettura, prediligendo la pittura. Nelle sue opere esplodono tinte forti, legate a significati ben definiti: il rosso, rappresentazione della posizione fetale; il blu, la coppia; il nero, la teoria del caos, come pura evoluzione del mondo. Oppure tinte libere dalle simbologie, come nell’ultima produzione, la serie intitolata “il percorso della vita”, rappresentazione dell’esistenza umana. Per le sue opere si serve talvolta di materiali alternativi, come quelli comunemente adoperati nell’edilizia. L’uso di smalto essiccato al sole, di colori acrilici, di varie tipologie di malta e stucco, di sabbia, le consente di ottenere nel rilievo il risultato della sovrapposizione dei materiali e di trasformare la loro natura intrinseca in emozione. Predilige materiali freddi come ferro e alluminio. La materia risulta la grande protagonista e con essa sviluppa forme sempre nuove, attraverso il percorso aria-acqua-terra-fuoco.

Il colore è determinante nelle tue opere. Pochi colori netti e decisi (il blu, il rosso, il nero) che assumono simbologie ben definite. Quale origine ha questa tua scelta?

Ha origine dalla voglia di voler esprimere emozioni e sensazioni forti sfruttando un mezzo potente: il colore. Nei miei quadri la forza cromatica si unisce alla forza del materiale; si genera un linguaggio che parla di energia, di vitalità ma anche di meditazione e silenzio.
Il rosso, caldo e vitale, suscita forza ed energia ma può trasformarsi diventando meditativo, rappresentare donne racchiuse a proteggere il proprio grembo, alla ricerca di una solitudine curativa e rigenerante.
Il blu, nel suo tendere alle sfumature più chiare, suscita sensualità così come sensuale è il movimento delle onde del mare. Evoca in me atti passionali di coppie unite nell’amore, un amore breve o lungo una vita, ma che in quel momento sono unite a formare una cosa sola.
Il nero è mancanza di luce, non-colore; è la fine, la morte, la chiusura di un brano musicale che ci ha suscitato emozioni, gioia, lacrime. Nel suo contrasto con il bianco simboleggia ciò che ciclicamente termina e ricomincia, come la società in cui viviamo, un ripetersi continuo di frantumi e di rinascite.
La mia scelta di utilizzo dei colori primari vuole spingere chi guarda ad andare oltre, ad intravedere le sfumature che più rispecchiano il proprio io, la propria coscienza nella ricerca di personali e profonde radici.

Vivere a Roma per un artista deve essere una soggezione continua e anche uno stimolo continuo. Quanto ti ha influenzato vivere nella capitale? E quali sono i tuoi Maestri di riferimento?

Roma è una città splendida, con ispirazioni in ogni dove, grazie agli oltre 2000 anni di opere d’arte a disposizione da poter studiare, rimodellare e trasformare. A Roma la storia si respira, è viva, presente e ti avvolge.
Ma proprio questa sua vastità, declinata in tante forme d’arte, può essere per un artista che qui vive un limite. È molto difficile emergere, la città richiama con la sua voce, forte del fascino eterno, artisti da ogni parte del mondo ed al confronto con i grandi del passato si aggiunge quello con importanti personalità contemporanee. A Roma un artista si deve impegnare al massimo per ritagliarsi un suo spazio e percorrere la propria strada creativa.
Roma è come un riepilogo, un ripasso di secoli passati che ogni volta un artista, con la sua sensibilità, è richiamato a ricordare. Si inizia un processo che porta ognuno ad indagare negli strati dell’anima e delle esperienze, ad affrontare quei punti non risolti celati dalla memoria, dal genius loci. Ed è questo il motivo, a mio parere, per il quale gli artisti in una città come Roma hanno difficoltà a proporre il nuovo, è come se umanamente si sentisse il dovere di risolvere artisticamente le questioni insolute prima di sperimentare il “futuro”.

Chi sono i tuoi Maestri?

Il primo amore nel mio percorso artistico è stato Henri de Toulouse-Lautrec con i suoi disegni di donne disilluse. Trovo molto interessante la sua libertà che in lui si traduce in innovazione di espressione
Ecco, io mi ispiro al suo modo di raccontare tutto attraverso l’arte, senza filtri, senza freni. Questo in me si mescola agli studi di Architettura e trova una forma di essere nell’uso della materia. È così che sono diventata un’artista polimaterica.
Importanti fonti di ispirazione sono gli artisti avanguardisti del XX e del XXI secolo: Burri, Tapiés, Fautrier, Duchamp, Arman; i futuristi. Balla e Boccioni; lo scultore ed architetto contemporaneo Kapoor.
La mia filosofia è racchiusa nelle parole di Prampolini “Non una tecnica, ma un nuovo mezzo di espressione artistica che sostituisce la realta dipinta con la realtà della materia. La materia contiene in sé tutto il potenzale espressivo che l’artista ricerca”.

Relitto degli abissi (prima)

La frenesia dei nostri tempi, le funzioni multitasking a cui dobbiamo soccombere come se fossimo noi stessi delle macchine, la relatività anche nei punti fermi… l’arte presente non può che essere sovrapposizione di materia perché la vita è divenuta sovrapposizione simultanea di linguaggi. E la valenza materica delle tue opere rispecchia molto questa realtà.

I miei quadri attraverso il processo della lavorazione della materia e l’uso di diversi materiali, arrivano a fondere chimicamente i diversi strati che li compongono, cercando simbolicamente di affrontare e metabolizzare la realtà.
Ogni strato rappresenta un mezzo per proiettare le mie forti emozioni all’esterno. Il colore cattura chi guarda la tela avvolgendolo con un blu calmante e meditativo, spronandolo con un rosso energico e passionale, riempiendolo di calore e felicità con un giallo evocativo. La potenza del colore unita alla concretezza dei materiali mi ispirano trasportandomi tra l’astratto ed incorporeo ed il reale e fisico, ogniqualvolta, nell’atto prepotente di prendere in mano la spatola, plasmo la tela.

Nei tuoi quadri emergono significati in rilievo, grazie all’impiego di smalto essiccato, malta e stucco, sabbia e altri materiali tipici dell’edilizia. Praticamente l’opera diviene un “cantiere aperto” in cui costruire sovrapponendo materia diversa e conferendo luce e spazi, allo stesso tempo, proprio come fossero universi abitabili. Chi sono gli abitanti delle tue opere?

Siamo noi con i nostri sentimenti. Le mie donne sono racchiuse in se stesse pronte ad uscire e ricominciare. Le coppie di amanti sono come fotografati, cristallizzando attimi privati, come per rubare squarci di vita, vita reale che ci circonda, devastante e impulsiva ma viva.
Le mie opere vogliono comunicare la continuità della vita tramite la trasformazione della materia e delle sue proprietà da prospettive diverse e verso prospettive nuove.

Talvolta i tuoi dipinti presentano linee marcate e ampie che sembrano cicatrici. E proprio da questi strappi improvvisi, da questi squarci profondi, emerge una luce abbagliante in grado di affermare un forte processo di “guarigione” in corso.

È vero, quelle linee pulsano vita e i quadri sono come un cuore puro che viene dapprima lacerato ma poi si rimargina.
Accettando la realtà nel suo essere bella ma cruda, cercando di comprenderla e di amarla, si sceglie un percorso che porta dalla sofferenza della distruzione alla speranza della guarigione contenuta nella vita. Nelle mie opere il dolore è rappresentato dai solchi profondi nella materia, dalle crepe generanti zone buie e scure che attirano lo sguardo inducendo a meditare, a rinchiudersi per un attimo nei propri pensieri. Ma subito squarci nella materia, bianchi luminosi, bagliori di oro e d’argento traghettano l’osservatore verso la forza della vita, verso la luce. È un cantiere in evoluzione e con la parola cantiere mi collego al mondo dell’architettura da me amato e da cui provengo, dove si trasforma e costruisce la materia per far emergere, nei vari strati, tutta la forza del mio lavoro.

Relitto degli abissi (dopo)

“Glows in the dark” (2016), pittura realizzata con tecnica mista (particelle di ferro e alluminio ossidate e dipinte con acrilico su lastra di ferro) è stata selezionata per la V edizione del Premio internazionale COMEL. Vuoi raccontarci quest’opera e come ti sei avvicinata all’alluminio?

Parto dall’allumino, un materiale cosi lucente, cosi duttile, da poter essere plasmato, che diventa un grembo e custodisce un cuore, un cuore che pulsa talmente da scoppiare e lacerare la materia facendo intravedere attraverso i tagli ed i riflessi cosa custodisce. La luce poi irrompe nel buio e tende a contrastarlo, ad opporsi ad esso per dare vita alla materia, con nuovi bagliori, con nuovi riflessi.

Aria-acqua-terra-fuoco, è il ciclo vitale di ogni cultura. L’andirivieni di ogni forma vivente si palesa nel passaggio degli elementi, ogni cibo e stagione si nutre di questo passaggio. Fare arte è come generare vita?

Sposo totalmente questa affermazione e mi collego alla mia opera dal titolo “Relitto degli abissi”, dove la materia è trasformata nelle sue stratificazioni dalla potenza metamorfica dell’acqua, acqua che diventa artefice dell’opera. Ogni strato è stato realizzato attraverso il contatto dei materiali con l’acqua e con gli agenti atmosferici che reagendo con le materie prime hanno dato forma allo strato successivo. Il processo poi ricomincia replicando il ciclo dell’acqua e della trasformazione che è fondamentale per la vita.
Ma la drammatica assenza dell’elemento primigenio può nascondere un pericolo, proprio quello che l’osservatore ha dinanzi a sé, una superficie ruvida, ed così trascinato in un abisso arido e desertificato.

Come artista, riconosci all’arte una funzione sociale?

Lo ritengo fondamentale e personalmente nelle opere del “Caos” denuncio come la società odierna stia camminando lungo il bordo di un precipizio, dove la mancanza di rispetto ed attenzione verso l’Uomo e la Terra stia portando ad una distruzione sia fisica che morale.
Non si può essere artisti se non si è spinti da un impeto di responsabilità sociale. Si rischierebbe di chiudersi all’interno di un personale guscio, protetto sì ma isolato nella comunicazione.
“Il percorso di un artista è incertezza e l’incertezza è la cosa più interessante. Fallire? È un rischio che si deve correre, è parte dell’essere, ma bisogna saper rischiare”. (A. Kapoor)

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2023-08-08T10:04:03+02:00
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