FINALISTA PREMIO COMEL 2013

Intervista a Cristina Simeoni

di Rosa Manauzzi

Cristina Simeoni nasce nel 1974 a Mantova. Spinta dalla passione per l’arte inizia a dipingere giovanissima, partecipando a raduni di madonnari. Nei primi anni Novanta realizza scenografie per allestimenti en plein air e dopo la Maturità tecnica frequenta corsi di pittura e arti decorative.
È affascinata particolarmente dalla luce, diretta e riflessa, calda e fredda, e studia le emozioni che questa può far scaturire. L’alluminio è un materiale che si presta molto alla sua indagine artistica. All’attivo un ampio curriculum espositivo in importanti città e località turistiche nazionali ed internazionali con ottimi riscontri di pubblico e critica.
Nel 2008 ha inaugurato il proprio Studio d’arte con un’esposizione permanente di opere. Nel 2013 è tra i tredici finalisti del Premio internazionale COMEL. Le sue opere sono presenti in importanti collezioni pubbliche e private.

L’artista Cristina Simeoni inizia l’attività pubblica come “madonnara”. Le opere dei “madonnari” stupiscono per l’abilità tecnica, riferita non solo ad immagini sacre. Cos’è che ha determinato questa passione inizialmente? La sfida tecnica, la fede? Il lavoro strettamente a contatto con il pubblico nelle strade?

Nel mantovano la tradizione madonnara è molto radicata, grazie al raduno di grandi artisti del gessetto provenienti da ogni parte del mondo che si svolge nei pressi del Santuario delle Grazie. Ero molto giovane quando iniziai a dipingere sull’asfalto. Quest’esperienza è iniziata in modo casuale, infatti nel mio Comune annualmente si svolgeva una manifestazione di “piccoli madonnari” in cui i bambini partecipanti si cimentavano con la tecnica del gessetto. Trovandola molto appassionante e divertente, ho proseguito per diversi anni. Una sfida tecnica che mi ha permesso di allenare occhio e mano e mi ha trasmesso l’inclinazione per i colori forti e vivaci che ancora oggi sono presenti nei miei quadri ad olio.

Oggi sembra esserci più che altro la moda dei graffitari, e non sempre si trovano opere degne di questo nome. Più che altro si assiste a imbrattamenti spudorati di muri e mezzi di trasporto. C’è un bisogno di esprimersi da parte dei più giovani ma non si possiede il linguaggio adatto per poterlo fare. Secondo te, cosa servirebbe oggi per aiutarli ad esprimersi nel modo più appropriato?

Secondo me è necessario distinguere tra arte di strada e vandalismo. Nonostante la questione rimanga comunque controversa poiché le opere di Street art sono eseguite su un supporto pubblico come muri o mezzi di trasporto, possiamo dire che oggi questa forma d’arte è completamente sdoganata e istituzionalizzata. Questo grazie a grandi artisti come Jean-Michel Basquiat che ha portato il graffitismo dalle strade alle gallerie e ai contemporanei Banksy, JR o Blu per citarne solo alcuni in grado di trasformare la strada in museo. Cosa diversa è il vandalismo, lo sfregio che deturpa non solo lo spazio pubblico ma anche i murales di artisti riconosciuti. Entra così in gioco il tema dell’educazione, in cui la riqualificazione di quartieri imbrattati si intreccia con la necessità di riqualificare prima di tutto la cultura, il rispetto e il senso di bene pubblico che sono completamente assenti. Un rancore sociale che richiede un enorme lavoro di insegnamento a intendere la città come comunità dei cittadini.

After the rain

La luce è determinante nelle tue opere. La ricerchi continuamente e la inserisci in ogni casa e piazza che dipingi. Di fatto la luce è vita e i luoghi oggetto delle tue riprese pittoriche risultano sempre abitati, vivi. Lì dove una luce spenta rappresenterebbe l’assenza, il riposo, tu preferisci inserire presenze, attività.

Il ciclo di opere dedicato agli edifici che mi ha accompagnato per diversi anni, ha come tema principale città sospese nel tempo e avvolte da calde luci notturne. Amo soffermarmi a osservare le luci che brillano, in modo particolare nelle sere limpide e, dipingendo soprattutto di notte, ho cercato di trasferire sulla tela quella sensazione di raccoglimento e imprevedibilità che si prova camminando per le strade deserte nelle ore notturne. L’alternarsi di chiaroscuri nelle mie opere rappresenta una metafora della vita. Spesso ci troviamo circondati dal buio della solitudine e le luci rappresentano gli affetti, i valori positivi che ci aiutano ad andare avanti così come nella notte ci aiutano a proseguire illuminandoci il cammino. La vita oscilla tra momenti di gioia estrema (luci) e momenti di tristezza e sconforto (buio).

L’edificio sembra essere il culmine di una tua ricerca geometrica precisa, passando dalle superfici piane dai lati arrotondati fino ai volumi che infine creano l’abitazione privata o pubblica, in cui la luce indica che all’interno c’è vita che palpita.

Nella mia produzione più recente, la luce è diventata il soggetto principale. Le architetture hanno lasciato il posto a elementi geometrici che creano un ritmo luminoso in cui il buio si alterna a improvvise accensioni cromatiche. Sono proprio le luci che creano, danno forma e profondità all’opera e trascinano l’osservatore in un labirinto luminoso.

Desert Rose

A proposito di vita che palpita, nel 2013 la tua installazione “Il suono della vita” è finalista al Premio COMEL e stupisce il pubblico con la sua maestosità e il grande messaggio poetico interno. Qui l’alluminio è utilizzato per creare una volumetria tonda che racchiude suoni generati dal vento e un cuore che palpita con un ritmo diverso partendo dalla nascita alla morte. Hai definito questa tua opera un grande omaggio alla musica. Puoi raccontarci com’è nata e qual è il tuo rapporto con la musica?

Quando lessi il bando del Premio Comel, stavo progettando un’opera che avesse come tema la musica. Volevo fosse un omaggio al ritmo vitale che spesso diamo per scontato: il battito del nostro cuore che ci accompagna dalla nascita per tutta la vita. L’alluminio grazie alle sue proprietà estetiche, la sua resistenza e leggerezza, mi ha permesso di realizzare un’installazione di grandi dimensioni che contenesse una campana tubolare realizzata nello stesso materiale. Questo strumento produce un suono dolce, limpido e intenso che completa in modo ottimale l’opera. Com’è facile intuire, il mio legame con la musica è molto forte. È sempre presente mentre lavoro e mi aiuta a entrare in contatto con le emozioni che voglio esprimere. Ascolto ogni genere musicale, dalla classica al rock, in base all’umore del momento.

Essere selezionata per il Premio COMEL ha in qualche modo influenzato il tuo modo di fare arte? Quale contributo ha portato?

La partecipazione al Premio ha sicuramente influenzato la mia produzione artistica. Ho iniziato a dedicarmi maggiormente all’installazione e sto lavorando a una serie di opere che utilizzano il metallo come una sorta di evoluzione della mia pittura a olio.

Quali sono gli artisti contemporanei che più ti hanno attratto durante il tuo percorso o che segui ancora oggi?

Grande importanza ha avuto per me Mirò, le sue opere mi hanno permesso di capire l’arte astratta, il significato potente ed essenziale che può assumere una linea sulla tela bianca. Adoro i lavori di Mark Rothko, grandi campiture di colore capaci di suscitare riflessioni ed emozioni forti. Mi affascina molto la pittura di Edward Hopper, il modo in cui rappresenta la luce è magistrale; nelle sue opere emergono silenzio e inquietudine. Ammiro e seguo ancora oggi Gerhard Richter, un grandissimo artista in grado di spaziare dal figurativo all’astratto in maniera impeccabile.

Quali progetti artistici ti piacerebbe realizzare in futuro?

Lavoro da diverso tempo a una serie di opere di grande formato aventi come tema i riflessi luminosi che spero di poter esporre quanto prima in una personale. Vorrei anche incrementare l’attività del mio studio con nuove collaborazioni ed eventi culturali. Il mio obiettivo principale è quello di continuare la ricerca e la sperimentazione per migliorare continuamente il mio percorso artistico.

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